Il Marchese di Forlipopoli
Nobile di nascita, le sue ricchezze sono state dissipate da lui e dal padre.
Aristocratico decaduto, cui non rimane nient'altro se non il prestigioso titolo nobiliare, egli pernotta nella locanda di Mirandolina, della quale è uno degli «spasimanti amanti». Icona di quella nobiltà decaduta, senza un soldo, si scontra con il Conte di Albafiorita, emblema della borghesia che arricchitasi e affermatasi aveva acquistato titoli nobiliari, sin dal primo atto, aprendo una commedia con una disputa sul merito della nobiltà.
Il contrasto tra il marchese e il conte è accentuato anche dall’amore nei confronti di Mirandolina: essi le offrono protezione, il primo, e doni e denari, il secondo.
Ma il fine di tale corteggiamento da parte dei due nobili non è il matrimonio: come perviene dalla prima scena, i due aristocratici perderebbero il diritto a trasmettere agli eventuali discendenti il titolo nobiliare, che è l’unica cosa cui tenga il Marchese e che il Conte ha pagato fior di denari. Nella prima scena dell’atto primo, infatti, i due parlano di Fabrizio e il Marchese nota come «la locandiera lo guardi assai di buon occhio»; il Conte risponde che se i due si sposassero «non sarebbe cosa mal fatta» infatti «sono sei mesi che è morto il di lei padre».
La superbia del Marchese fa sì che anche l’oggetto amato, Mirandolina, sia elevata sopra le altre donne nelle parole dell’innamorato: «Quando l’amo io, potete credere che in lei vi sia qualche cosa di grande». Egli disprezza la vanità del Conte di render nota dei propri acquisti per la locandiera, ma alla prima occasione vediamo come forza la mano di Mirandolina, per mostrare al suo antagonista il regalo fatto alla giovane: «Ehi! Mostrate al Conte il fazzoletto», «l’ha veduto il fazzoletto il Cavaliere?» per poi ripresentare la propria finta riservatezza «Eh niente, niente. Bagatelle. Riponetelo, via: non voglio che lo diciate. Quel che fo non s’ha da sapere».