Atto III · Scena XVII

Diverbio fra il Conte e il Cavaliere, termina con un duello il Cavaliere prende la spada del Marchese.

CAVALIERE: (Indegna! Farmi aspettar nella camera?). (Da sé.) 
MARCHESE: (Che diamine ha?). (Piano al Conte.) 
CONTE: (Non lo vedete? È innamorato di Mirandolina). 
CAVALIERE: (E si trattiene con Fabrizio? E parla seco di matrimonio?). (Da sé.) 
CONTE: (Ora è il tempo di vendicarmi). (Da sé.) Signor Cavaliere, non conviene ridersi delle debolezze altrui, quando si ha un cuore fragile come il vostro. 
CAVALIERE: Di che intendete voi di parlare? 
CONTE: So da che provengono le vostre smanie. 
CAVALIERE: Intendete voi di che parli? (Alterato, al Marchese.) 
MARCHESE: Amico, io non so niente. 
CONTE: Parlo di voi, che col pretesto di non poter soffrire le donne, avete tentato rapirmi il cuore di Mirandolina, ch'era già mia conquista. 
CAVALIERE: Io? (Alterato, verso il Marchese.) 
MARCHESE: Io non parlo. 
CONTE: Voltatevi a me, a me rispondete. Vi vergognate forse d'aver mal proceduto? 
CAVALIERE: Io mi vergogno d'ascoltarvi più oltre, senza dirvi che voi mentite. 
CONTE: A me una mentita? 
MARCHESE: (La cosa va peggiorando). (Da sé.) 
CAVALIERE: Con qual fondamento potete voi dire?... (Il Conte non sa ciò che si dica). (Al Marchese, irato.) 
MARCHESE: Ma io non me ne voglio impiciare. 
CONTE: Voi siete un mentitore. 
MARCHESE: Vado via. (Vuol partire.) 
CAVALIERE: Fermatevi. (Lo trattiene per forza.) 
CONTE: E mi renderete conto... 
CAVALIERE: Sì, vi renderò conto... Datemi la vostra spada. (Al Marchese.) 
MARCHESE: Eh via, acquietatevi tutti due. Caro Conte, cosa importa a voi che il Cavaliere ami Mirandolina?... 
CAVALIERE: Io l'amo? Non è vero; mente chi lo dice. 
MARCHESE: Mente? La mentita non viene da me. Non sono io che lo dico. 
CAVALIERE: Chi dunque? 
CONTE: Io lo dico e lo sostengo, e non ho soggezione di voi. 
CAVALIERE: Datemi quella spada. (Al Marchese.) 
MARCHESE: No, dico. 
CAVALIERE: Siete ancora voi mio nemico? 
MARCHESE: Io sono amico di tutti. 
CONTE: Azioni indegne son queste. 
CAVALIERE: Ah giuro al Cielo! (Leva la spada al Marchese, la quale esce col fodero.) 
MARCHESE: Non mi perdete il rispetto. (Al Cavaliere.) 
CAVALIERE: Se vi chiamate offeso, darò soddisfazione anche a voi. (Al Marchese.) 
MARCHESE: Via; siete troppo caldo. (Mi dispiace...) (Da se, rammaricandosi.) 
CONTE: Io voglio soddisfazione. (Si mette in guardia.) 
CAVALIERE: Ve la darò. (Vuol levar il fodero, e non può.) 
MARCHESE: Quella spada non vi conosce... 
CAVALIERE: Oh maledetta! (Sforza per cavarlo.) 
MARCHESE: Cavaliere, non farete niente... 
CONTE: Non ho più sofferenza. 
CAVALIERE: Eccola. (Cava la spada, e vede essere mezza lama.) Che è questo? 
MARCHESE: Mi avete rotta la spada. 
CAVALIERE: Il resto dov'è? Nel fodero non v'è niente. 
MARCHESE: Sì, è vero; l'ho rotta nell'ultimo duello; non me ne ricordavo. 
CAVALIERE: Lasciatemi provveder d'una spada. (Al Conte.) 
CONTE: Giuro al cielo, non mi fuggirete di mano. 
CAVALIERE: Che fuggire? Ho cuore di farvi fronte anche con questo pezzo di lama. 
MARCHESE: È lama di Spagna, non ha paura. 
CONTE: Non tanta bravura, signor gradasso. 
CAVALIERE: Sì, con questa lama. (S'avventa verso il Conte.) 
CONTE: Indietro. (Si pone in difesa.)

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