Atto III · Scena VI

Il Cavaliere dichiara il suo amore a Mirandolina. Ella lo scaccia in malo modo dicendo che non gli crede.

CAVALIERE: Gran finezze, signora, al suo cameriere! 
MIRANDOLINA: E per questo, che cosa vorrebbe dire? 
CAVALIERE: Si vede che ne siete invaghita. 
MIRANDOLINA: Io innamorata di un cameriere? Mi fa un bel complimento, signore; non sono di sì cattivo gusto io. Quando volessi amare, non getterei il mio tempo sì malamente. (Stirando.) 
CAVALIERE: Voi meritereste l'amore di un re. 
MIRANDOLINA: Del re di spade, o del re di coppe? (Stirando.) 
CAVALIERE: Parliamo sul serio, Mirandolina, e lasciamo gli scherzi. 
MIRANDOLINA: Parli pure, che io l'ascolto. (Stirando.) 
CAVALIERE: Non potreste per un poco lasciar di stirare? 
MIRANDOLINA: Oh perdoni! Mi preme allestire questa biancheria per domani. 
CAVALIERE: Vi preme dunque quella biancheria più di me? 
MIRANDOLINA: Sicuro. (Stirando.) 
CAVALIERE: E ancora lo confermate? 
MIRANDOLINA: Certo. Perché di questa biancheria me ne ho da servire, e di lei non posso far capitale di niente. (Stirando.) 
CAVALIERE: Anzi potete dispor di me con autorità. 
MIRANDOLINA: Eh, che ella non può vedere le donne. 
CAVALIERE: Non mi tormentate più. Vi siete vendicata abbastanza. Stimo voi, stimo le donne che sono della vostra sorte, se pur ve ne sono. Vi stimo, vi amo, e vi domando pietà. 
MIRANDOLINA: Sì signore, glielo diremo. (Stirando in fretta, si fa cadere un manicotto.) 
CAVALIERE (leva di terra il manicotto, e glielo dà): Credetemi... 
MIRANDOLINA: Non s'incomodi. 
CAVALIERE: Voi meritate di esser servita. 
MIRANDOLINA: Ah, ah, ah. (Ride forte.) 
CAVALIERE: Ridete? 
MIRANDOLINA: Rido, perché mi burla. 
CAVALIERE: Mirandolina, non posso più. 
MIRANDOLINA: Le vien male? 
CAVALIERE: Sì, mi sento mancare. 
MIRANDOLINA: Tenga il suo spirito di melissa. (Gli getta con disprezzo la boccetta.) 
CAVALIERE: Non mi trattate con tanta asprezza. Credetemi, vi amo, ve lo giuro. (Vuol prenderle la mano, ed ella col ferro lo scotta.) Aimè! 
MIRANDOLINA: Perdoni: non l'ho fatto apposta. 
CAVALIERE: Pazienza! Questo è niente. Mi avete fatto una scottatura più grande. 
MIRANDOLINA: Dove, signore? 
CAVALIERE: Nel cuore. 
MIRANDOLINA: Fabrizio. (Chiama ridendo.) 
CAVALIERE: Per carità, non chiamate colui. 
MIRANDOLINA: Ma se ho bisogno dell'altro ferro. 
CAVALIERE: Aspettate... (ma no...) chiamerò il mio servitore. 
MIRANDOLINA: Eh! Fabrizio... (Vuol chiamare Fabrizio.) 
CAVALIERE: Giuro al cielo, se viene colui, gli spacco la testa. 
MIRANDOLINA: Oh, questa è bella! Non mi potrò servire della mia gente? 
CAVALIERE: Chiamate un altro; colui non lo posso vedere. 
MIRANDOLINA: Mi pare ch'ella si avanzi un poco troppo, signor Cavaliere. (Si scosta dal tavolino col ferro in mano.) 
CAVALIERE: Compatitemi... son fuori di me. 
MIRANDOLINA: Anderò io in cucina, e sarà contento. 
CAVALIERE: No, cara, fermatevi. 
MIRANDOLINA: È una cosa curiosa questa. (Passeggiando.) 
CAVALIERE: Compatitemi. (Le va dietro.) 
MIRANDOLINA: Non posso chiamar chi voglio? (Passeggia.) 
CAVALIERE: Lo confesso. Ho gelosia di colui. (Le va dietro.) 
MIRANDOLINA: (Mi vien dietro come un cagnolino). (Da sé, passeggiando.) 
CAVALIERE: Questa è la prima volta ch'io provo che cosa sia amore. 
MIRANDOLINA: Nessuno mi ha mai comandato. (Camminando.) 
CAVALIERE: Non intendo di comandarvi: vi prego. (La segue.) 
MIRANDOLINA: Ma che cosa vuole da me? (Voltandosi con alterezza.) 
CAVALIERE: Amore, compassione, pietà. 
MIRANDOLINA: Un uomo che stamattina non poteva vedere le donne, oggi chiede amore e pietà? Non gli abbado, non può essere, non gli credo. (Crepa, schiatta, impara a disprezzar le donne). (Da sé, parte.)

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