Critica goldoniana
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I pregiudizi
Due sono i pregiudizi principali che hanno sempre pesato sulla critica goldoniana:
1. il primo è di natura estetica: l'autore teatrale, cioè, non viene ritenuto degno di produrre vera letteratura (un pregiudizio questo che in verità ha pesato per tanti anni su tutta la produzione teatrale italiana), negando quindi ogni valore poetico alla sua opera.
2. il secondo è di natura ideologica: Goldoni, in quanto “copiatore” della natura, viene considerato soltanto come un piccolo bonario moralista, disconoscendone quindi il carattere rivoluzionario.
Il primo pregiudizio troverà il suo massimo espositore in Benedetto Croce, mentre il secondo verrà affermato da Francesco De Sanctis; entrambi i critici operano tra Ottocento e Novecento e condizionano quindi la critica goldoniana moderna.
Furono probabilmente i detrattori contemporanei di Goldoni ad intuire per primi la vera natura rivoluzionaria del suo nuovo teatro. Ciò è spiegabile per due motivi:
1. il primo è che, Goldoni, seguendo in prima persona la messa in scena delle proprie opere, fornisce al pubblico la giusta chiave di lettura delle sue commedie;
2. il secondo è che i contemporanei, pubblico e critica, avvertono con più immediatezza gli aspetti realistici e rivoluzionari delle commedie goldoniane, vivendo all'interno di quella società che Goldoni andava rappresentando.
Il massimo critico (e assiduo spettatore) del Goldoni fu Carlo Gozzi, che nel formulare le sue accuse, in realtà, da un punto di vista conservatore, colse in pieno gli elementi di profonda novità del teatro goldoniano. Egli infatti afferma che Goldoni:
1. "espose sul teatro tutte quelle verità che gli si parano dinanzi, ricopiate materialmente e trivialmente, e non imitate dalla natura, né coll'eleganza necessaria ad unoscrittore";
2. "non seppe, o non volle, separare le verità, che si devono, da quelle che non si devono porre in vista sopra un teatro; ma si è regolato con quel solo principio, che la verità piace sempre";
3. Le commedie di Goldoni "odorano per lo più di pernicioso costume. La lascia e il vizio gareggiano in esse colla modestia e colla virtù, e bene spesso queste due ultime sono vinte da' primi";
4. "ha fatto sovente de' veri nobili lo specchio dell'iniquità e il ridicolo; e della vera plebe l'esempio della virtù e il serio in confronto, in parecchie delle sue commedie";
5. Goldoni ha realizzato una scaltra operazione di avvicinamento alla plebe: "io sospetto (e forse troppo maliziosamente) ch'egli abbia ciò fatto per guadagnarsi l'animo del minuto popolo, sempre sdegnoso col necessario giogo della subordinazione";
6. Quanto allo stile: "Moltissime delle sue commedie non sono che un ammasso di scene, le quali contengono delle verità, ma delle verità tanto vili, goffe e fangose, che quantunque abbiano divertito anche me medesimo, animate dagli attori, non seppi giammai accomodare nella mia mente che uno scrittore dovesse umiliarsi a ricopiarle nelle più basse pozzanghere del volgo, né come potesse aver l'ardire d'innalzarle alla decorazione d'un teatro, e soprattutto come potesse aver fronte di porre alle stampe per esemplari delle vere pidoccherie";
7. Un'ultima accusa riguarda il fatto che Goldoni ricavi da vivere dal suo stesso mestiere di autore teatrale.[2]
Si evince quindi che Gozzi comprese fino in fondo:
L'assoluta novità del teatro di Goldoni e della sua figura di intellettuale
Il carattere decisamente realistico del teatro goldoniano
La pericolosità "pedagogica" (e quindi politica) di fare del realismo in scena
La pericolosità politica ed ideologica di esaltare la plebe e ridicolizzare la nobiltà
La felice, ma pericolosa, combinazione di efficacia artistica e realismo
Per circa due secoli la stroncatura di Carlo Gozzi rappresentò paradossalmente, con la sua doppia lettura positivo-negativo, l'interpretazione più lucida del cuore dell'operazione teatrale goldoniana.
In epoca successiva, però, si fecero strada i due pregiudizi primari, giustificabili con il fatto che l'opera di Goldoni venne valutata senza tener conto della sua corretta messa in scena. In contesti storici differenti ed in contesti culturali lontani dalla Venezia di metà settecento, l'opera di Goldoni venne svalutata sia sul piano ideologico, che sul pianolinguistico. Illuministi di rilievo come Baretti e Cesarotti finirono per dare giudizi molto riduttivi, formulando addirittura accuse di "sciatteria", "scorrettezza", “grossolanità”. Nel frattempo si andava consolidando la tendenza a considerare le opere teatrali come forme di letteratura minore.
Il giudizio di Francesco De Sanctis e Benedetto Croce
In pieno Ottocento, con Francesco De Sanctis, gli studi su Goldoni hanno un parziale riavvio. Il famoso critico riconosce al Goldoni la novità del realismo, il tentativo cioè di ritrarre la natura in tutte le sue sfaccettature e rendere protagonista “l'uomo, con le sue virtù e le sue debolezze, che crea o regola gli avvenimenti, o cede in balia di quelli”. In questo l'operazione di Goldoni è simile a quella di Galileo, che creò la nuova scienza operando lo stesso capovolgimento di valori: identica quindi la novità di metodo. Pur riconoscendo a Goldoni, quindi, tutte le qualità necessarie per affrontare e vincere questa impresa, De Sanctis però formula accuse di volgarità, superficialità e mancanza di vera poesia: “Questo mondo poetico ha il difetto delle sue qualità: nella sua grossolanità è superficiale, nella sua naturalezza è volgare. In quel suo correre dritto e rapido il poeta non medita, non si raccoglie, non approfondisce; sta tutto al di fuori, giocoso e spensierato, indifferente al suo contenuto, e intento a caricarlo quasi per suo passatempo, con l'aria più ingenua, senza ombra di malizia e di mordacità; onde la forma del suo comico è caricatura allegra e smaliziata, che di rado giunge all'ironia. Nel suo studio del naturale e del vero trascura troppo il rilievo, e se ha il brio del linguaggio parlato ne ha pure la negligenza; per fuggire alla retorica, casca nel volgare. Gli manca quella divina malinconia, che è l'identità del poeta comico”.[3]
Altra accusa riguarda il "mestiere": secondo lo studioso Goldoni non sarebbe stato libero nella sua invenzione, ma andò dietro a ragioni mercantili, legate al gradimento delpubblico: “le necessità del mestiere contrastavano alle aspirazioni dell'artista”. Secondo De Sanctis, Goldoni fu “obbligato spesso a concessioni e a mezzi termini per contentare il pubblico, la compagnia e gli avversari […] Di queste concessioni trovi i vestigi nelle migliori commedie, dove non rifiuta certi mezzi volgari e grossolani di ottenere gli applausi della platea”. In conclusione possiamo dire che la critica del De Sanctis contiene rivalutazioni e stroncature:
1. si riconosce il valore realistico e quindi nuovo dell'opera di Goldoni
2. si riconosce l'importanza del metodo "galileano", che pone al centro dell'osservazione diretta l'uomo, così com'è
3. si formulano accuse di grossolanità e volgarità dello stile
4. si accusa Goldoni di essere asservito a logiche mercantili e non letterarie
5. il giudizio negativo viene esteso a tutte le opere di Goldoni, nessuna esclusa
6. non si individuano le necessità ed i meriti della riforma goldoniana, che non sarebbe stata condotta agli esiti dovuti per mancanza di coraggio.
Dopo De Sanctis la riflessione critica su Goldoni insiste sugli aspetti di sensibilità psicologica, di bonomia dello sguardo, di poesia delle opere. Non-poetica viene considerata l'arte di Goldoni dal Momigliano, il quale pur riconoscendo una certa maestria all'autore esprime infine un giudizio riduttivo: “fu grande quando seppe far con arte profonda un'interpretazione superficiale”.A questi giudizio fa riferimento anche Benedetto Croce che, senza aver una conoscenza adeguata forse del teatro di Goldoni, ovvero della messa in scena delle commedie, esprime giudizi netti e riduttivi: “…inferiore al Molière nell'osservazione morale e aggirantesi in più semplice cerchia di esperienze… sta tutto nella capacità di un'ilare visione degli uomini, delle loro passioncelle, difetti e vizi o piuttosto difettucci e vizietti e curiose deviazioni, dei quali poi quasi sempre si ravvedono e si correggono. Era anche un buon uomo, di oneste intenzioni, bonario, pietoso, indulgente; la sua vena era quella… e alla poesia propriamente detta non s'innalza”.In definitiva, secondo Croce, il Goldoni:
1. non ha grandi capacità nell'osservazione morale degli uomini
2. non si impegna in uno studio profondo dell'umanità
3. è agito da un carattere bonario, da papà indulgente
4. non raggiunge mai con le sue opere la vera poesia
Da quanto detto, emerge con chiarezza che Croce “buca” letteralmente il cuore stesso dell'opera di Goldoni, non considerando:
1. lo sforzo di rinnovamento del teatro italiano
2. le esigenze e le necessità della sua riforma
3. il valore realistico dell'arte goldoniana
4. lo spessore poetico di alcuni capolavori oggi indiscussi
5. gli aspetti di critica, secca e talora feroce, verso talune realtà sociali
6. la necessità di una corretta messa in scena delle commedie
La svolta degli studi goldoniani
Ad inizio Novecento si palesa una netta svolta nella critica goldoniana, con due autori oggi non molto conosciuti, quali Luigi Falchi ed Ernesto Masi, che pubblicarono studi sui contenuti etici e sociali e sul pensiero politico di Goldoni. Tuttavia questi illuminati studi non fecero breccia nella cultura dell'epoca, fortemente condizionati dalla critica desanctisiana e crociana. Secondo il critico teatrale Luigi Lunari, “i contributi del Falchi e del Masi stanno alla scoperta del Goldoni come il viaggio di Erik il Rosso sta alla scoperta dell'America”.
Ben altro impatto ebbero gli studi dell'italianista russo Aleksej Karpovič Dživelegov (translitterato Givelegov), nel 1953. Egli studia con particolare attenzione la maschera diPantalone e la sua trasformazione nel teatro di Goldoni, dove finisce per incarnare il tipico mercante veneziano dell'epoca. Si tratta di un personaggio guida, in senso ideologico, che evidenzia il percorso della riforma goldoniana: dal teatro della commedia dell'arte al teatro della realtà. Secondo il critico russo G. compie un esame diretto realtà, con precisi intenti morali e sociali, il tutto in chiave di grande efficacia poetica. In definitiva con il Givelegov vengono posti dei nuovi punti saldi nella critica goldoniana:
1. riconoscimento dell'arte realistica del suo teatro
2. riconoscimento di uno sguardo attento e profondo alla realtà sociale
3. spessore ideologico di tutta riforma
4. risultati poetici indiscussi
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